L’Italia investe troppo poco nel servizio idrico, che mostra carenze importanti specialmente al Sud. Tutti i dati e le prospettive del brief di Cassa depositi e prestiti In Italia le perdite degli impianti di distribuzione idrica ammontano al 42 per cento: in Francia, per fare un paragone, il valore è al 20 per cento, e in Germania all’8. Il 36 per cento della rete di acquedotti ha un’età compresa tra i trentuno e i cinquant’anni, e il 22 per cento ha più di mezzo secolo. Sono quasi mille gli agglomerati – specialmente al Sud, per il 73 per cento – soggetti a procedure di infrazione europee per l’inadeguatezza degli impianti di fognatura e di depurazione. Sono alcuni dei dati forniti dagli analisti di Cassa depositi e prestiti (CDP) in un brief intitolato Servizio Idrico Integrato: il momento giusto per gli investimenti. CHE COS’È IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO Con “servizio idrico integrato” si intende l’intera filiera di attività che vanno dal prelievo dell’acqua alla sua distribuzione, fino alla depurazione. Serve oltre 50 milioni di utenti, con un consumo medio di 236 litri pro capite. INVESTIMENTI TROPPO BASSI Le condizioni di criticità in cui versano le infrastrutture idriche è il risultato dei livelli storicamente bassi di investimenti che ha ricevuto il settore. Negli ultimi si è registrata una crescita, ma sottodimensionata rispetto alle necessità del comparto: siamo mediamente sui 2 miliardi all’anno, ma ne servirebbero 5 per ridurre il divario con le altre principali economie europee. Di conseguenza, il tasso di sostituzione della rete ormai obsoleta è bassissimo, dello 0,42 per cento all’anno: servirebbe arrivare almeno al 2 per cento. I PROBLEMI DEGLI INVESTITORI La capacità di investimento nel servizio idrico risente di due grosse criticità. Una è la “polverizzazione dei gestori”, spiega CDP: sono troppi, oltre 2500. Di questi, l’83 per cento sono gestioni in economia (operate in maniera diretta dall’ente locale) che hanno una bassa propensione all’investimento; il restante 17 per cento è composto da operatori industriali, la metà dei quali, però, è di piccole dimensioni e dunque poco competitivo. Le gestioni in economia, pur essendo più numerose, servono solo il 10 per cento della popolazione e si concentrano al Sud. IL PROBLEMA DELLA GOVERNANCE L’altro grande problema risiede nell’incompiutezza del “processo di riorganizzazione della governance”: è partito verso la metà degli anni Novanta per facilitare la trasformazione del settore in senso industriale, introducendo ad esempio gestori unici e integrati lungo l’intero ciclo. Si tratta tuttavia di un processo non ancora completo, specialmente nelle regioni del Sud.
Ad oggi, solo il 60 per cento degli operatori industriali del servizio idrico occupa infatti di tutte le fasi del ciclo integrato. Il restante 40% è attivo solo su specifici segmenti, “con inevitabili conseguenze in termini di capacità e di programmazione degli investimenti”. Secondo CDP, l’attuazione incompleta del modello di governance ostacola gli investimenti. In assenza di Enti di Governo operativi (ovvero i soggetti incaricati dell’organizzazione del servizio idrico integrato negli ambiti di competenza), infatti, non si possono realizzare i programmi di investimento. L’individuazione di un gestore unico, conseguenza di una piena operatività degli Enti, “aumenterebbe la capacità di attrarre risorse, assicurando (i) economie di scala nell’impiego delle somme raccolte, (ii) maggiore solidità finanziaria di fronte ai creditori e (iii) chiara accountability nella gestione delle risorse e nel dialogo con gli stakeholder”. QUANTO SPENDE L’ITALIA PER IL SETTORE IDRICO La spesa italiana nell’infrastruttura idrica è più bassa rispetto alla media dei paesi europei: nel biennio 2020-2021 è stata, in Italia, di 49 euro per abitante; in Europa, nello stesso periodo, è stata mediamente di 90 euro. Tra il 2016 e il 2019 il valore pro capite degli investimenti realizzati dalle gestioni in economia è stato di 8 euro circa all’anno, benché il dato vari da regione a regione. UN MOMENTO STORICO FAVOREVOLE? Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) assegna però 3,5 miliardi di euro al settore idrico, affiancando questi fondi a delle riforme strutturali: una punta alla semplificazione e all’attuazione rapida della normativa sul Piano nazionale per gli interventi nel settore idrico; mentre l’altra mira a rafforzare il processo di industrializzazione del settore, favorendo la costituzione di operatori integrati, pubblici o privati. Tutto questo può essere una buona opportunità, secondo CDP, per “realizzare gli investimenti necessari e superare definitivamente gli ostacoli che ancora […] limitano le potenzialità del comparto. Oltre all’utilizzo efficace delle risorse stanziate dal PNRR, è possibile intercettare la cosiddetta “finanza verde”, quella cioè indirizzata verso investimenti dall’impatto ambientale e sociale positivo. In questo senso, il servizio idrico può sfruttare quella che nel brief viene chiamata “natura ‘intrinsecamente’ sostenibile” – l’acqua pulita è uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile, appunto – per favorire l’afflusso di nuovi investitori nel comparto e parallelamente migliorare le performance ambientali-climatiche degli operatori.
CDP nota che in Italia questo mercato “è ancora nella fase iniziale del suo sviluppo, ma i ritmi di crescita degli ultimi anni ne fanno intravedere prospettive interessanti. L’ammontare cumulato di prestiti erogati con finalità “verdi” ha superato i 13 miliardi di euro nel 2021, benché faccia difficoltà a diffondersi tra le piccole e medie imprese, che non hanno una struttura sufficientemente forte per rispettare i criteri ESG (quelli che misurano la sostenibilità ambientale, sociale e di governance di un investimento). Nel 2021 le nuove emissioni di obbligazioni verdi da parte di società italiane hanno registrato un valore di oltre 30 miliardi di euro a fronte dei valori inferiori ai 10 miliardi riscontrati nel 2019 e nel 2020. idrico integrato